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Per un bambino piccolo, specialmente per un neonato, stare in braccio alla mamma è un bisogno fisiologico e naturale, utile al suo benessere e alla sua serenità. Ma quante volte ci siamo chieste – o ci siamo sentite dire – se fosse il caso di tenere così tanto in braccio il nostro piccolino? Non è che lo stiamo già viziando?
Tenere in braccio il neonato: che cosa dice la scienza?
Partiamo dal presupposto (scientifico) che il bambino ha bisogno istintivo di contatto fisico, e che la pratica di limitare questo contatto è soltanto un pregiudizio, un retaggio della nostra cultura ancora molto radicato. I bambini nascono e si sviluppano in stretto rapporto, soprattutto fisico, con la madre. Da dove nasce, allora, l’idea di tenere separati madre e figlio?
Nella nostra cultura permane ancora l’idea che la richiesta di attenzioni da parte del bambino, magari attraverso il pianto, le grida o la gestualità, sia da imputare a un comportamento negativo: il bambino è viziato o capriccioso. Altro sbaglio molto comune tra i genitori è pensare che ignorare tale richiesta serva a crescere nostro figlio più forte e indipendente. Le cose non stanno così, a detta di pediatri, educatori e psicologi.
Il tatto come bisogno naturale del neonato.
Il primo senso che sviluppano i bambini è il tatto. È l’unico modo, soprattutto durante l’ultima fase di vita uterina, per trasmettere le informazioni al cervello. La pelle infatti è l’organo del nostro corpo che si sviluppa prima degli altri e che, quindi, crea più connessioni con il sistema nervoso centrale. Da qui il bisogno così forte di contatto fisico, maggiore all’inizio perfino rispetto al bisogno di nutrirsi. Come dire: per il nostro cucciolo stare in braccio è più importante che mangiare.
Stare sempre in braccio è un vizio?
La risposta a questo punto è molto semplice: stare in braccio non è un vizio, ma un bisogno primario. Non esiste una quantificazione del contatto fisico tra madre e figlio, non esiste un “troppo” o un “poco”, che sono invece determinati soltanto dalle necessità del bambino. Nei primi anni di vita, il bambino ricerca costantemente il contatto fisico perché ha bisogno di sicurezza, di “sentirsi a casa”. Alo stesso modo, si allontana dalla mamma per crescere, per sperimentare il mondo e testare la sua indipendenza, seguendo i propri ritmi dettati dall’istinto. Ad esempio, se cerca la mamma anche quando è più grande (dai tre anni in su), vuol dire che gli è mancato qualcosa nel periodo di vita precedente.
Il bisogno di contatto non è un capriccio.
Dobbiamo quindi distinguere cosa sia un capriccio e cosa no, anche se le modalità espressive e comunicative del bambino sembrano le medesime: se il nostro piccolo piange e urla perché vuole stare in braccio, assecondiamolo. Se piange e urla perché vuole un giocattolo nuovo, parliamoci e spieghiamo che non si fa così. Il pianto è la traduzione di un disagio: cerchiamo di capire che cosa manca al nostro bimbo e comportiamoci di conseguenza, senza viziarlo, senza privarlo del nostro contatto fisico.